Società e complessità organizzativa
Società e complessità organizzativa. Sanvenero (CAO): è la prestazione sanitaria praticata che differenzia la struttura
A seguito dell’ulteriore parere da parte del MISE si sono succedute diverse analisi che mancano di tenere presente un “prerequisito” che il MISE, costantemente, esplicita nei propri pareri: ovvero che l’attività svolta dalle società “sia non meramente replicativa di una tipica attività ordinistica, ma attinente ad una tipologia di prestazione caratterizzata da “maggiore complessità”.
Cercherò di essere preciso, ma al tempo stesso chiaro.
Parto dalle conclusioni (derivate da costante giurisprudenza dal 1989 al 2017): una “società commerciale” (cioè una società non costituita sotto forma di StP) non può avere come scopo l’espletamento di compiti propri del professionista.
Quindi, nel momento in cui una “società commerciale”, magari avente un oggetto sociale multiplo (ad esempio comprendente sfruttamento della proprietà intellettuale, la gestione di locali, l’erogazione di crediti formativi ECM ecc.), presenta una domanda di autorizzazione sanitaria (derivata dalla legge 502/1992 e successive modificazioni) esiste un “prerequisito di procedibilità” della domanda: che genere di attività (sanitaria) verrà svolta dalla società?
Se la risposta non prevede la realizzazione di terapie più complesse di quelle realizzabili dal singolo professionista la domanda dovrebbe essere rigettata e l’iter autorizzativo non dovrebbe procedere. Qualora, per mancanza di tale verifica o per errore di valutazione (non sempre i funzionari incaricati a gestire la domanda sono medici), tale autorizzazione fosse stata (erroneamente) data e/o si scopre che le terapie realmente erogate sono solamente quelle realizzabili dal singolo professionista, l’autorizzazione dovrebbe essere ritirata per “mancanza del prerequisito di diritto ad ottenerla” (alla stregua di una persona che viene assunta, come chirurgo, da una ASL, ma manca del “prerequisito di diritto” costituito dalla laurea in medicina).
Le prestazioni sanitarie rientrano tra quelle “protette” per le quali la legislazione ha sempre fortemente limitato l’esercizio in forma anonima perché palesemente in contrasto con gli articoli del Cc (2229 e seguenti) che disciplinano il contratto d’opera professionale che presuppone ed implica l’esercizio individuale della professione e limita, nell’adempimento dell’obbligo, l’intervento di terzi alla sola modalità ausiliaria o sostitutiva prevista dall’art. 2232 Cc. In altre parole, il contratto d’opera professionale impone un rapporto personale e fiduciario tra il professionista ed il cliente, basato sull’intuitus personae e da cui deriva, pertanto, la responsabilità individuale del professionista. (Cassazione n. 79/1993; n. 7738/1993)
Queste furono le ragioni, come ricordano le SSUU della Suprema Corte di Cassazione (n. 13144/2015), che impedirono di stabilire, mediante un semplice regolamento, i requisiti per l’esercizio in forma societaria anche dopo l’abrogazione (da parte dell’art. 24 della legge 266/1997) del divieto previsto dall’art. 2 della legge n. 1815/1939.
La situazione legislativa è rimasta immutata sino alla promulgazione della legge 183/2011 e del successivo Regolamento attuativo (DM 8 febbraio 2013, n. 34) che ha consentito l’esercizio in forma societaria delle attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico (quelle di cui agli artt. 2229 e seguenti del Cc) “inventando” la società tra professionisti (StP).
Tuttavia tale divieto, come dicevamo precedentemente, non è mai stato assoluto essendo possibile utilizzare la formula societaria al fine di consentire la realizzare prodotti più complessi rispetto all’opera del singolo professionista. (Cassazione n. 1405/1989; n. 7738/1993)
Quindi ciò che determina lo spartiacque è la tipologia dei prodotti, nel nostro caso la tipologia degli interventi terapeutici, che vengono forniti ai pazienti: la “prestazione” indicata dal MiSE.
Qualora la tipologia degli interventi, che si realizzano all’interno di un ambiente, siano realizzabili dal singolo professionista (indipendentemente dalle, eventuali, strumentazioni tecnologiche utilizzate) l’unica forma societaria ammissibile è quella di una società costituita come società tra professionisti. In questo caso l’autorizzazione regionale diventa necessaria nel caso in cui gli interventi terapeutici (individuati attraverso un atto di indirizzo e coordinamento) siano tali da comportare un rischio per la sicurezza del paziente.
Viceversa, qualora la tipologia degli interventi, che si realizzano all’interno di un ambiente, non siano realizzabili dal singolo professionista (perché più complessi rispetto a quanto realizzabile dal singolo professionista) è necessario costituire una struttura sanitaria che sempre necessiterà dell’autorizzazione regionale, nonché della dirigenza sanitaria con funzioni di direzione e organizzazione della struttura (da attuarsi anche mediante direttive a tutto il personale operante nella stessa e l’adozione dei provvedimenti relativi, necessari per il corretto espletamento del servizio).
In entrambi i casi le dotazioni tecnologiche, strumentali e l’organizzazione sono secondari e finalizzati a rendere possibile la realizzazione degli interventi terapeutici e non costituiscono il criterio per definire la necessità dell’autorizzazione (ad esempio non è la presenza, o meno, di una TAC/Cone Beam a determinare l’obbligo o la possibilità di autorizzazione, mentre lo sono gli interventi terapeutici che possono sfruttare o meno la presenza della TAC/Cone Beam)
Preme, infine, evidenziare come l’eventuale contratto, che abbia ad oggetto la realizzazione di un prodotto coincidente con quanto realizzabile dal singolo professionista, stipulato tra un cliente ed una società non costituita come StP sia nullo per contrasto con l’art. 2231 Cc (Cassazione n.24922/2007; n.7310/2017) e, quindi, non vi è la possibilità di richiedere la liquidazione giudiziaria delle prestazioni effettuate.
Per completezza di analisi vi è da rilevare che esiste un’altra forma societaria lecita; la cosiddetta società di servizi. In tale situazione la società deve avere ad oggetto soltanto la realizzazione e la gestione di mezzi strumentali per l’esercizio di un’attività professionale, ancorché protetta (immobili, arredamenti, macchinari, ad esclusione di quelli la cui vendita sia riservata ai soli iscritti agli albi, nonché servizi ausiliari), che resti però nettamente separata e distinta dall’organizzazione dei beni di cui si serve, anche sul piano contabile; ne deriva che è lecito, a norma dell’art. 1322 Cod. civ., il contratto atipico intercorso tra la società ed il professionista per effetto del quale la prima si obbliga a fornire al secondo tutti i beni strumentali ed i servizi necessari all’espletamento dell’attività professionale, prestata personalmente dal professionista (nel caso di specie, si tratta di un gabinetto di analisi chimico-cliniche), e questi si impegna a pagare alla società un corrispettivo in misura fissa od in proporzione ai suoi proventi.
Infine un discorso a parte meriterebbe la fatturazione in esenzione di IVA, ma questa è un’altra storia che merita ulteriori analisi che lo spazio a disposizione non consente di affrontare.
Sandro Sanvenero: Segretario Nazionale CAO